venerdì 4 aprile 2008

Portishead - Live in Firenze 2008 - Parte 1 e 2


Parlare di questo concerto non mi è venuto affatto di getto. Ho dovuto mantegare un po' le sensazioni che mi portavo appresso per capire cos'è che proprio non m'è piaciuto.

Intanto, come è caratteristico di questo periodo, è stato abbastanza influente partire con persone con cui non ho costruito assieme nessun tipo di fremente attesa.
(Bella Manuel, ce l'hai ancora quel biglietto in più di cui mi avevi parlato? Sandro alla fine ha deciso di venire e a sto punto possiamo partire tutti assieme)
Sinceramente m'ha fatto strano, ma ormai mi sto abituando a vedere i rapporti con tutti i miei amici dilatarsi, fino a diventare coincidenziali.

Il viaggio passa ma meno veloce di come ci eravamo augurati, e una volta arrivati a Firenze dobbiamo correre per cercare di recuperare un posto per dormire, sistemarvicisi e riuscire.

(non sapevo da dove iniziare, vabbè)

Dicevo, sono passati 10 anni.

Arrivamo a piedi davanti al Saschall dopo aver percorso il Lungarno e ci dividiamo tra chi (io) è andato a ritirare i biglietti comprati su internet e chi (tutti gli altri) si è fermato a mangiare dal paninaro "zozzone" locale (a Firenze li chiamano "i luridi" ma a discapito del nome qua sono più raffinati dei nostri capitolini). Dopo aver riflettuto per circa 20 minuti sul paradosso che c'era meno fila per acquistare i biglietti (a quanto pare ce n'erano ancora in vendita riservati dal teatro) che per ritirarli mi aggrego agli altri, bevo una Ceres (che non toccavo veramente da anni) ed entriamo.

All'interno il Sashall si rivela più accogliente e spazioso di quello che appariva da fuori.
Non passa poi molto dallo spegnimento delle luci e dall'apparizione di un'immensa P sugli schermi dei videoproiettori (a quanto pare ci siamo persi il gruppo spalla, poco male). Salgono sul palco i musicisti e parte immediatamente la base di Silence (la track di apertura di Third), con Beth che dà le spalle al pubblico (neanche fosse Maynard) fino a quando non si gira e si aggrappa al microfono iniziando a cantare. In tutto questo io sono pronto ad un cazzotto allo stomaco che non arriva.

Sarà la gente intorno che continua a parlare, saranno il suono chiaro, limpido, cristallino ma che non pompa, saranno tutte quelle luci colorate. Mi butto in mezzo alla gente per vedere se riesco a capirci qualcosa. Intanto i pezzi si susseguono, con una scaletta che sembrava quella del live a NY con i classici che conosciamo tutti alla perfezione (come alla perfezione vengono suonati) e alternati da una discreta quantità di pezzi nuovi. Io intanto rimango là, cercando con tutte le forze di non rimanere insensibile. Anche al centro della sala la gente parlottava (curiosa la scena di due ragazze che su un pezzo parlano per tutto il tempo e si interrompono solo per applaudire alla chiusura del pezzo) mentre io notavo il fatto che era passata già mezzora e Beth non si era ancora accesa una sigaretta, oppure che il chitarrista era ingrassato ed aveva quel sorriso da padre di famiglia stampato in faccia. Gli altri riesco a notarli a malapena. Le proiezioni dietro di erano molto ben fatte, con sovrapposizioni montate in tempo reale di una moltitudine di telecamere posizionate sul palco e puntate sui musicisti e a loro volta combinate ad immagini tratte dai video ed altro probabilmente. La posa di Beth aggrappata a quel microfono si ripete in continuazione (svuotandosi di significato, ai mie occhi, sempre di più). Posso notare il suo viso addolcito da una presunta maternità (no, non mi va di googlare per avere conferma di sta voce giuntami). Mi fermo sulla sua immagine, su il gesto di lei che fa "ma va là" dopo i numerosi applausi che la ricoprono alla fine di ogni pezzo.
Sono passati 10 anni. Sono passati 10 anni. E forse capisco.
Non mi ci riconosco più, o meglio, non riesco a riconoscere in questa situazione quelle sensazioni che provavo mentre li ho ascoltati innumerevoli volte su quel live. Quella sfumatura di irrequietezza, di instabilità, della sensazione che tutto ti sfugge di mano e non hai niente dove aggrapparti. Quella condizione per cui una voce, una musica esprime questo stato e malgrado tutto questo riesce pure a farti sentire meglio. Ci esorcizzavi i tuoi mali oppure semplicemente ti ci crogiolavi. Mi accorgo che ero venuto a Firenze per (ri)trovare questo ma ho trovato altro (ovviamente). Un gruppo storico, rodato, perfetto, con una cantante dalla voce meravigliosa che propone i pezzi più amati dal pubblico.
E basta.
Non c'è praticamente mai un momento di digressione in cui il gruppo si lascia andare. Non c'è sorpresa. C'è solo una grande contentezza di essere tornati, quando forse io mi accorgo per la prima volta che se ne sono andati veramente solo ora. E' tutto esattamente come ci si aspetterebbe. Cowboys, Only You, Glory Box. Questi pezzi non mi erano mai sembrati così uguali fino d'ora. Riuscivo sempre a sentirci quella sfumatura, fondamentale, di differenza.
Mi sono guardato attorno tra le facce catatoniche e ipnotizzate della gente, invidiandoli, mentre mi ritornava alla mente l'ultima volta che ho provato la stessa cosa (per inciso: al concerto dei Depeche Mode di Roma del 2006). Il concerto finisce con We Carry On (o se c'è stato un pezzo dopo, l'ho rimosso), il mio pezzo preferito in assoluto di Third. Ironia della sorte.

Sono passati 10 anni ed io continuo ad essere un ingenuo.

(foto di Smeerch)

3 commenti:

Anonimo ha detto...

secondo me è tutta colpa di quella ceres all'inizio...
e poi te lo ridico, dovevi andarci con meee! ;D
ciao, benedetta

Tora ha detto...

eheheh sai che mi sà che hai ragione? :)

Anonimo ha detto...

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