venerdì 29 giugno 2007

Svegliatevi Dormienti - Philip K. Dick


"Che datore di lavoro comprensivo." Hadley scosse la testa.
"Scusa se te l'ho chiesto. Avrei dovuto pensarci prima."
"Pare che la bravata dell'emigrazione con quella ragazza delle schiere di Thiesbe non ti abbia insegnato niente; sei rimasto il solito pasticcione. Qual'è il problema, non riesci ad accettare la vita così com'è? Non puoi fare a meno di inseguire chimere? C'è un casino di gente che ti invidierebbe perchè lavori; sei già dannatamente fortunato a riavere il posto."
"Lo so."
"Allora perchè non ti dai una calmata? Qual'è il problema?"
"Se hai nutrito delle speranze." Spiegò Hadley dopo una pausa "tirare avanti dopo averle perdute diventa difficile. Abbandonare i sogni non è complicato; quella è la parte facile. A volte capita di doverlo fare. Ma dopo..." gesticolò lamentandosi. "...Con cosa li sostituisci? Con niente. E il vuoto è spaventoso. Immenso. E in modo o nell'altro assorbe tutto il resto; qualche volta è più grande del mondo intero. E cresce. Si fa infinito. Capisci di che cosa sto parlando?"
"No" risposte Pethel. Nè la cosa lo interessava.
"Sei un uomo fortunato. Probabilmente non proverai mai niente del genere; comunque non prima di invecchiare, di arrivare a centocinquant'anni o giù di lì." Lo fissò. "Come ti invidio."
"Prenditi una pastiglia." consiglio Pethel.
"Sarei ben felice di farlo se ne esistesse una. Ma non credo sarebbe d'aiuto. Ho voglia di fare una lunga passeggiata; magari per tutta la notte. Ti frega qualcosa? Ti vuoi unire a me? Cavolo, no, per niente. Lo vedo bene."
Pethel disse, "Ho da lavorare, io; non ho mica il tempo di andare a spasso e rimirare il paesaggio. Ascolta, Hadley. Quando arrivi domattina - sentimi bene - ti do un aumento. Ti rallegra l'idea?" Lo scrutò, per accertarsene.
"Si" fece Hadley senza convinzione.
"Lo sapevo"

(da Svegliatevi, dormienti - Philip K. Dick, 1966)

lunedì 25 giugno 2007

Cochi e Renato - A me mi piace il mare



Un canzone estiva da dedicare a chi ti pare (t'ho senti che rima...)

giovedì 21 giugno 2007

Umberto Palazzo e il Santo Niente - La vita è facile

In questo periodo sto riascoltando tanta musica degli anni '90. Periodo in cui ormai liberato dei vari blocchi e costrizioni dati dall'essere un ragazzino di provincia, ho iniziato ad ascoltare in maniera un po' più attenta i suoni che avevo attorno. La mia formazione musicale in qualche modo è stata segnata da quel periodo. Dalle etichette storiche come BlackOut, i Dischi del Mulo ed il Consorzio Produttori Indipendenti. Dalle mitiche raccolte Lègalisation, Maciste contro Tutti, dalla colonna sonora di Tutti giù per terra e più tardi da quella di Jack Frusciante è uscito dal gruppo. E dai gruppi come i Cccp/CSI, Ustmamò, Disciplinatha, dagli emergenti Marlene Kuntz, Ottavo Padiglione, Modena City Ramblers (quelli con Albertone) e compagnia bella.

Tra questi c'erano i Santo Niente, il gruppo di Umberto Palazzo, uno dei membri della primissima formazione dei Massimo Volume. Anche lui studente fuori sede in quella Bologna che pareva essere diventata, in quegli anni, il vero centro nervoso e culturale d'Italia. E delle sue angoscie.

(Massimo Volume... Angoscie... Umberto Palazzo... Santo Niente... Elementi che ritornano... legami che solo ora intuisco...forse)

La vita è facile è il primo disco dei Santo Niente, uscito nel 1995, stesso anno di Lungo i Bordi, di cui rappresenta - lo anticipo da subito - l'altra faccia di una stessa moneta. Si perchè non si può capire veramente quest'album se non mettendolo in relazione con il capolavoro dei Massimo Volume. All'interno del medesimo mondo musicale, delle medesime attitudini e contesti La vita è facile è l'esatto complemento, l'antitesi, l'opposto. Se Lungo i Bordi è un disco implosivo, con tensioni che non si risolvono, La vita è facile è esplosivo e catartico. Se uno riflette e contempla le inquietudini di una vita, quasi per esorcizzarle, l'altro è viscerale, violento, crudo, minimalista. Entrambi sono generati dalla capacità e dalla maledizione dell'osservazione. Ma se il primo guarda la propria immagine riflessa nelle vetrine e dalle luci della città, l'altro guarda verso gli altri, in maniera feroce e spietata. Umberto Palazzo sembra dirci, contrapponendosi al suo vecchio gruppo. che lo stomaco prende il sopravvento sulla testa quando entrano veramente in gioco gli altri.

Intorno a questo ultimo elemento prende il via il disco. Dalla rabbia che si prova quando si vede qualcuno di importante fuggire via, scappare, correre. E' questa donna, questa "cuore di puttana", la figura che ci accompagnerà per tutto il disco. La figura che all'inizio scappa e a cui ci si rivolge in maniera pateticamente ferita(Cuore di puttana e La vita è facile), fino a quando poi si riesce a prendere consapevolezza. Prima in maniera passiva ed apatica (Non mi dici nulla), poi rendendosi conto che il "re è nudo": "Elvira guarda! La grande oscurità che ti fa urlare, che ti fa mordere, dorme nella mia testa" (Elvira). E poi nel disco si aprono finalmente gli occhi in tutto il loro disincanto. Entrano in scena altre figure. Arriva il Pappone, con il suo coltello e tutte le sue donne (tra cui, guarda caso, ancora Lei). Poi l'Aborigeno che non è visto con quel romanticismo esotico, ma con il distacco metropolitano che lo paragona nient'altro che ad un barbone fortunato. Ed i pezzi si susseguono rafforzando questa consapevolezza fino al finale del disco.

In Storia breve, si rilegge il riff di Cuore di puttana creando una base ossessiva per il parlato di Umberto che si fa gioco di questa forma usata dal suo vecchio amico di Belluno. Non c'è coinvolgimento mentre racconta la storia di Alessia. C'è solo un cinico e compiaciuto distacco mentre osserva questa donna (tornano in mente le parole di Andarsene Via "Hai sempre sostenuto una sola soluzione: andarsene via.") che non può più scappare e si ritrova impotente davanti allo stesso male che ha generato. Cazzo che soddisfazione.
E poi arriva finalmente la Fata Morfina, a portarci "la leggerezza del cuore...", e a liberarci.

E' un disco davvero risentito, e Dio sà quanto lo stia amando.

Tracklist:
  • Cuore di Puttana (hardcore)
  • la Vita è Facile
  • Tu Non Mi Dai Nulla
  • Elvira
  • Il Pappone
  • L'Aborigeno
  • Andarsene Via
  • Finalmente Sterile
  • Cuore di Puttana (softcore)
  • Immondizia dal giappone
  • Storia Breve
  • Fata Morfina

ps. Se dopo questa recensione qualcuno avesse ancora voglia di ascoltare e rimediare questo disco, gli consiglio di crearsi una playlist in cui alterna le rispettive tracce dei due album (guarda un po', sono entrambi di 12 tracce...) partendo da il Primo dio e finendo con Fata morfina. Tutto suonerà molto diverso e i due gruppi non vi sembreranno più così distanti. Provateci.

domenica 17 giugno 2007

Dissonanze 07



1 Giugno (Battles, Apparat, Nathan Fake, Alva Noto, KTL)


L'uno e il due giugno a Roma, al Palazzo dei Congressi all'Eur, si è svolta la settima edizione del Dissonanze Festival, evento ormai abituale per entrare in contatto con alcune delle produzioni internazionali nell'ambito della musica elettronica e delle arti digitali.

Come l'anno scorso, anche quest'anno il grande cubo del Palazzo dei Congressi è vistosamente illuminato da una illuminazione psichedelica (tendente al verde acido) e dalle proiezioni sulle sue immense pareti che attirano lo sguardo già solo intravedendolo dalla Cristoforo Colombo. Sono poco prima delle undici di sera e la gente è già massicciamente riunita e ammassata a ridosso delle biglietterie, e riusciamo ad entrare non prima che la musica proveniente dalla terrazza abbia iniziato a sentirsi.

Corriamo di corsa per le scalinate già stufe del continuo riferimento ad Escher e in men che non si dica ci ritroviamo al cospetto dei Battles. Una delle band più chiacchierate del momento. Non a caso arriviamo proprio sull'attacco di Atlas. Dal vivo la band mantiene perfettamente sia l'impatto sonoro (perdendo giusto qualcosa sul basso a causa dell'impianto) e la precisione, sia la capacità di coinvolgere l'ascoltatore. E' sempre una bella sensazione riuscire a vedere la gente ballare sopra la musica suonata con gli strumenti. Il gruppo alterna pezzi di Mirrored ad altri pezzi ripresi dai due Ep che l'hanno preceduto, riarrangiando sul momento alcune cose e assecondando quell'atteggiamento più prog che noi italiani non smettiamo mai di amare, come durante l'esecuzione di Race In. Il loro set finisce esattamente a mezzanotte.

In una frazione di secondo viene smontato tutta la loro attrezzatura (che è stata pure minacciata da un principio di pioggia), il palco viene liberato ed Apparat si posiziona davanti al suo laptop. Il suo set riprende le stesse atmosfere del suo disco, Walls, che segue la tradizione della laptop music tedesca melodica ed elegante. La gente ascolta e si gode piacevolmente l'atmosfera che però non riuscirà mai a decollare completamente. Per riuscirci dovremmo aspettare Nathan Fake, un giovane ragazzo inglese che dimostrerà di saper non solo di avere un ottimo gusto, ma anche di avere avuto la capacità di riuscire a riadattare la sua musica per il contesto del Dissonanze che dopotutto è molto più ballereccio.

Ci gustiamo il suo set fino alla fine (perdendoci la Modified Toy Orchestra) e poi ci rimmergiamo nel cuore del grande cubo. Nel salone della cultura intanto esplodono i dj set, tra house e techno, che sono la maggiore (se non unica) attrattiva per gran parte del pubblico pagante. Ci prendiamo una pausa ed io faccio una scappata a vedere la fine del set di Alva Noto che però non mi convince più di tanto in questo set basato sul rapporto tra suono e video di sintesi ma senza niente di particolarmente originale. Ora va bene che moltissime persone non hanno la più pallida idea di chi siano Steina e Woody Vasulka, ma qua si scade troppo nel visto e rivisto. Sinceramente una delusione.

Ci penseranno i KTL (Stephen O'Malley & Peter Rehberg) ad ipnotizzarci nella aula magna prima del nostro ritorno a casa. Già entrando nella ampia sala si percepisce una atmosfera da altro mondo. Sul destra un chitarrista dall'inequivocabile aspetto metal sta impugnando una chitarra elettrica davanti a due enormi amplificatori valvolari mentre dal lato opposto del palco il suo socio è sulla sua postazione con davanti due asettici laptop. Proeittato dietro di loro c'è uno strano simbolo eleborato, bianco e immobile sullo sfondo nero, che inquieta per l'aspetto molto religioso. Il loro suono è fuori dal mondo, con dei drones che suonano e risuonano senza sosta in un tessuto inestricabile. Mentre stavo lì seduto avevo l'impressione di essere in un qualche romanzo di Philip K. Dick, all'interno di quella che potrebbe essere definita una chiesa del rumore dove le persone di una società del futuro vanno per fuggire dall'alienazione, alienandosi in modo diverso e consapevole. Alla fine del set mi sorprendo a non essere l'unico ad apprezzare tutto questo e vedo le teste che pensavo immobile e addormentate alzarsi ed applaudire a questi due musicisti.


2 Giugno (Pole, Various Production, Giardini di Mirò, Fennesz & Mike Patton, Planningtorock, Scott Arford)


Arriviamo al Palazzo delle Esposizioni e, rispetto a ieri alla stessa ora, già si nota un'affluenza iniziale minore per questa seconda nottata del Dissonanze Festival 07. Dopo la solita trafila dei pass, entriamo senza fretta nel grande cubo ed andiamo a vedere la situazione in aula magna dove, tra qualche ora, si svolgerà il concerto di Fennesz e Patton. Ma ancora la sala è praticamente vuota ed i tecnici stanno finendo di allestire il palco.

Ripercorriamo le caratteristiche scale intrecciate fino alla terrazza a goderci il fresco e l'inizio del set di Pole.
Pole è un'altro artista tedesco di laptop music, e da tale porta una sensibilità melodica e trimbica nella sua musica di gran gusto, alternando strutture ritmiche attraenti a progressioni melodiche molto rarefatte e d'atmosfera. Molto interessante, anche se forse non ha raggiunto i livelli di Apparat e Nathan Fake che sono saliti sullo stesso palco ieri notte.

A seguire salgono i Various Production. Gruppo inglese formato da una coppia di musicisti elettronici (e quindi coppia di relativi laptop) e da tre cantanti. Fanno un genere che spazia tra l'elettronica ambientale strumentale, a pezzi più energici, tra il dub ed il trip-hop, giocando molto sul contrasto timbrico delle tre voci e sugli assoli delle stesse. Una voce femminile davvero notevole, una calda e afromericana, e la terza (forse la più debole delle tre) di declinazione nu-metal melodica (che provava ad essere a metà strada tra Jonathan Davis e Daron
Malakian) Bravi, anche se spesso le strutture che usano per i pezzi sono un po' troppo rigide e le tre voci non sempre sono così belle assieme.

Si torna in aula magna in tempo per vedere una parte del set dei nostri Giardini di Mirò, che sono evidentemente caldi e a loro agio sul palco, nonstante loro forse sia tra tutti il gruppo di artisti meno pertinenti al contesto di Dissonanze.
Davanti a tutto questo pubblico fanno il loro mestiere al meglio, aiutati dall'ottima acustica della sala e dalla loro lunga esperienza live. Riescono a coinvolgere e convincere anche chi, come me, non ha mai provato particolare simpatia per loro e chiudono il loro set tra i meritatissimi applausi del pubblico.

La sala si riempie in un istante, e c'è un via vai di gente che cerca di trovare un posto più vicino possibile al palco dove si stanno per esibire Micheal Patton e Christian Fennesz, quando improvvisamente salgono sul palco a sistemare personalmente parte della propria attrezzatura, mentre il pubblico sta già applaudendo. L'ex Faith No More (tanto per citare uno degli innumerevoli gruppi e progetti che ha intrapreso in oltre 15 anni di carriera) si presenta come ormai siamo ben abituati. Elegantissimo, in giacca e cravatta e con i capelli cosparsi di brillantina tirati all'indietro. Sembra un personaggio uscito da un film di Tarantino. Molto meno appariscente, ma magnetico a modo suo, Fenensz mantiene l'aspetto austero e spigoloso tipico dei musicisti contemporanei, stemperato solo dalla chitarra elettrica che dopo indosserà. Davvero una strana una coppia.

Tornano momentaneamente di lato mentre i fonici collegano gli ultimi cavi e già un piccolo gruppo di persone cerca di avvicinarsi ai due. Patton nasconde a malapena il suo disappunto per la situazione. Fortunatamente il momento non dura a lungo ed i due risalgono sul palco entro breve tra la gente che affettuosamente grida "Vai Michele" a questo artista che ormai vive in Italia da diversi anni.

La musica di Fennesz parte di sottofondo, partendo come un rumore impercettibile fino a svolgersi piano piano attorno ad i suoni di chitarra riverberata e distante. Patton inizia il suo canto senza parole dialogando con la chitarra che piano piano diventa più incalzante così come il canto del vocalist si tramuta in urla e grida rese filtrate e taglienti dalle eleborazione che fa in contemporanea della sua stessa voce. Il suono risultante è in continua mutazione, elementi che entrano ed escono di scena, in un fluire ipnotico di pause e riprese. Patton in alcuni momenti sembra controllato e posato per poi far esplodere subito dopo la sua voce sui microfoni accompagnando i gesti con il movimento di tutto il corpo. La sua voce è dinamica e cangiante. Sospira, fa versi, rumori, schiocca il palato ed improvvisa beatbox, creando loop e basi che si vanno ad aggiungere al tappeto caldo e straniante prodotto da Fennesz con il suo portatile e la sua chitarra, o da alcune basi (come quelle di un Ave Maria, cantato da un coro polifonico) che praticamente vengono rilette in quella chiave personale che è emersa dalla loro musica.

Vanno avanti per circa tre quarti d'ora in cui quello che suonano sono una sorta di lunghi movimenti appartenenti tutti alla stessa composizione. Davvero un concerto intenso e l'unica critica che gli si può muovere forse è il fatto che i pezzi davano l'impressione di essere stati studiati più come una palestra di improvvisazione per i due artisti che avendo piuttosto in mente un'evoluzione precisa e strutturata in mente, ma questo l'ho comunque percepito come una grande occasione piuttosto che come un limite della loro performance.

Nella sala della cultura stanno esplodendo i dj set, tra il delirio del pubblico più chimico e danzereccio, mentre la terrazza è ormai sotto la piggia.
Decidiamo quindi di tornare in aula magna per assistere ai set seguenti.

Il primo è quello di Planningtorock. Sul palco una vocalist vestita completamente di bianco canta davanti ad uno schermo in cui vengono visualizzate delle riprese dal vivo elaborate a ritmo di musica e rappresentanti strani personaggi mascherati in ambienti metropolitani periferici (mi hanno ricordato moltissimo l'immaginario degli OVO). La sua figura viene completamente assorbita dello schermo, di cui lei diventa una estensione danzante e irrefrenabile mentre le immagini si proiettano sul suo corpo. E' un'ottima cantante e fa scaldare il pubblico in questa sorta di strano genere che varia dal soul alla elettronica più acida, ma mantenendo sempre un atteggiamento giocoso e stravagante.

La serata volgerà poi al termine con il finale di Scott Arford, con un set in cui combina suoni di sintesi neutri e distorti con i quali modula le linee di scansione dello schermo dietro di lui. I suoni sono invasivi al tal punto che colpivano fisicamente lo spettatore, ma spesso la sensazione era tutt'altro che piacevole. Non mi ha convinto più di tanto.

(anche su www.ondalternativa.it)

Hella - Biblical Violence Live



In questa domenica mattina inquieta vi presento questa piccola chicca trovata mentre spulciavo su youtube. Vale la pena di guardarla anche solo per vedere suonare Zach Hill che non stà fermo un attimo.

sabato 16 giugno 2007

Massimo Volume - Lungo i bordi


Non è un caso che io abbia riscoperto questo disco proprio in questo periodo. Sono passati dodici anni da quando Lungo i Bordi fu pubblicato. Allora passavo uno dei momenti più difficili della mia vita, mio fratello se ne era appena andato di casa ed io vivevo quello che vedevo come un abbandono con dolore e delusione. Ma quando guardavo, tutto attorno a me sembrava vivere lo stesso periodo. Io e le persone che avevo vicino vagavamo come fantasmi.

Bologna in quegli anni non deve essere stato un luogo migliore. Questi quattro musicisti ce lo fanno capire bene. Francesco Nunziata scrive, "[...]Emidio Clementi (voce e basso), Egle Sommacal (uno dei migliori chitarristi italiani dell'ultimo decennio), Vittoria Burattini (batteria) e Gabriele Ceci (chitarra) registrano questo capolavoro del rock italiano in una fase molto particolare della loro vita: soldi, pochi; angoscia, imperante; sogni; pure troppi…".

Ed è per questo che Lungo i bordi è un disco che fa male. C'è questa strana atmosfera che permea tutte le dodici tracce di questo lp, questa agoscia appunto, priva di solitudine me che non ti lascia scampo, che non si conclude, non si risolve, ma ti accompagna ogni qual volta ti fermi a guardare.

Sei là ad osservare il mondo attorno a te privo di senso, in un luogo che non hai scelto, e lei esplode dentro di te. Nei ricordi di quando da ragazzo ascolti un disco ballando nella tua isteria. Nei momenti di attesa, come quelli passati ad aspettare in una pizzeria, mentre fuori un mondo incomprensibile e distante scorre non curante. Guardando il traffico di notte appoggiato ad una finestra. Nei sogni quando gli amici vittime mutilate di una esplosione ti guardano con lo sguardo accusatorio solo per essergli sopravvissuto. E' un'agoscia che nasce dal corpo, privato da qualsiasi contatto che non sia strettamente necessario. Incapace di qualsiasi contatto che non sia strettamento necessario. "E' solo la precisa coscienza della tua mano chiusa a pugno che cerca disperatamente di fermare qualcosa che sta accadendo nel tuo corpo".

Musicalmente è incredibile quello che hanno creato. La loro musica, questo post-rock crepuscolare ed intimo, ha quella capacità di andare a toccare le cicatrici più esposte e non si limita ad ipnotizzarti come gran parte delle produzioni attuali. Si agita inquieta e umorale sotto la voce di Emidio. Ma la sua voce non canta, non può. E' un parlato a malapena controllato, come se da un momento all'altro potesse esplodere in un urlo o in un silenzio di rabbia. Spesso si ferma o ripete incessamente la stessa frase (Leo è questo che siamo? Leo è questo che siamo? Leo è questo che siamo?). Aumenta di intensità e si spegne. Passa da una cruda freddezza ad un coinvolgimento estenuante. Spesso è una rasoiata in piena faccia. E non riesci a non ascoltarla.

"Mi sento come il soffitto di una chiesa bombardata".

martedì 12 giugno 2007

Viola Drunken - Parol # Review


Nell'ascoltare Parol dei Viola Drunken è facile riconoscere da subito la grande attenzione che questi quattri ragazzi siciliani hanno messo nella stesura di questo disco. La cura per il suono è quasi maniacale - almeno considerando gli standard odierni per le autoproduzioni - è tutto l'album si regge sulla ricerca di equilibrio tra i momenti più aperti e melodici e i passaggi più energici e viscerali. Da questa alchimia esce fuori una atsmofera particolare che permea tutto l'album, questa sorta di barocco scuro e prezioso trasversale a queste nove tracce che compongono il disco.

I Viola Drunken si collocano nella tradizione del rock italico, ma non lasciatevi fuorviare da questa definizione. Nella loro musica c'è più che un semplice citazionismo dei soliti gruppi.
Oltre ai riferimenti più immediati - dalle cadenze lente e dilatate del cantato che si rifà a certi Marlene Kuntz, alle atmosfere riflessive e implosive dei CSI - che sono comunque fortemente presenti, nel loro suono è possibile trovare anche altro che si manifesta, come un eco, in alcuni momenti della loro musica. Negli incroci di tastiera e chitarra tipiche del prog italiano degli anni '70 (Ora e Dopo e la coda finale di clavicembalo di Lieto rifugio) alla aggressività punk-rock degli anni '90 (Rude, Lieto Rifugio), fino ad arrivare anche al post-rock più rarefatto ed intimo(ll frastuono del silenzio, L'offesa).

Parol è un buon disco e loro sono una di quelle band valorose che stanno cercando il più possibile di portare la loro musica in giro per l'Italia cercando di farsi conoscere. Ma per quanto buono non è esente da alcuni difetti.
In primis la voce. Se in alcuni brani risulta essere emozionante ed azzeccata, spesso tende ad essere un po' troppo limitata a quelle due,tre soluzioni melodiche che ripropone dall'inizio del disco. Penso che le potenzialità di crescita in tal senso ci siano tutte, basta un po' di coraggio. L'altro difetto è invece tipico di quasi tutte le band che presentano brani su cui hanno lavorato per tanto, forse troppo tempo. Ovvero quella tendenza a strafare che si manifesta in quel "qualcosa di troppo" in cui le chitarre e le tastiere ogni tanto tendono a compiacersi e soffermarsi e che piuttosto che rafforzare distraggono l'ascoltatore sia dalle parole delle canzoni che dalla melodia principale dei pezzi.

Vanno tenuti d'occhio.

Viola Drunken su Myspace
Sito Ufficiale

Tracklist.
1. Il frastuono del silenzio
2. Nella gioia e nel dolore
3. Ora e dopo
4. Il lieto rifugio
5. Gocce
6. L'offesa
7. Canzone Sproloquio
8. Rude
9. Prodezze uccise

giovedì 7 giugno 2007

Sogno di Fuoco #1


Ero in uno di quei posti di mare lontani dal mondo. Di quelli che il paese, antico e medioevale, spicca nel niente al di sopra di una altura affanciandosi con le sue chiese e campanili dritto sul mare. Era sera, il sole era già tramontato, e vagavo tra i vicoli con una bicicletta molto vecchia. Mi ricordo improvvisamente di un appuntamento che avevo con un amico vicino alla spiaggia. Cerco di parcheggiare in qualche modo il mio biciclo, ma ovunque c'è gente addormentata e accampata per strada. Penso di capovolgere la bicicletta e appoggiarla a terra sul manubrio e sellino. Probabilmente lo faccio e scendo delle scale di pietra che mi portano alla spiaggia.
Là c'era uno di quei localini con palco e musica dal vivo. Stanno suonando gli Acustimantico.
Incontro i miei amici. E tra loro c'era Lei.
Quando mi avvicino per salutarla mi sporgo verso di Lei.
Lei mi bacia ed io mi lascio trasportare completamente. Quasi l'avessi sempre aspettato (forse è davvero così).
Lei mi dice: "Da qualche parte dovrà pure iniziare questo rapporto"
E' stato un bel bacio. Dolce ma non solo. Ho avuto la sensazione di qualcosa che finalmente viene fuori. Mentre La baciavo ho pensato "Finalmente".
Restiamo un po' là. Mentre finisce la musica Lei dice "Non ti aspettare da me un rapporto... di quel tipo... Io sto incasinata". E' seduta su una scalino di pietra. Quasi in posizione fetale.
Le rispondo, accarezzandole una gamba "Non abbiamo nessuno che ci corre dietro per dirci come fare le cose".


Poi mi sveglio... con un senso di perdita sconcertante

mercoledì 6 giugno 2007

The Battles - Atlas



Questo canzone mi ossessiona. Sarà questa filastrocca malata e disturbata cantata da Tyondai Braxton. Sarà il luogo in cui è ambientato il video. Una scatola a specchi dove non puoi vedere nient'altro che la tua immagine riflessa all'infinito e sai che chiunque voglia guardarti lo potrà fare completamente a tua insaputa, e comunque loro, con il loro fare, non sebrano fare altro che deriderlo/ci. Sarà che dopo averla sentita dal vivo a Dissonanze comunque non ne ho ancora abbastanza. Sarà che vedere il batterista picchiare su di un crash alto oltre quello che può essere definito sano di mente mi da una sensazione liberatoria non indifferente. Sarà che l'intero disco, Mirrored, ha una atmosfera assurda, questa sorta di Alienazione propositiva e dirompente che ti fa temere di cosa potrebbero fare questi quattro musicisti la prossima volta. Ve l'ho detto, ne sono ossessionato. Play.

martedì 5 giugno 2007

La voce del fuoco

[...] Oggi è quasi impossibile formulare quell'appello con il nostro linguaggio, visto che tutti gli emblemi e tutti gli archetipi sono stati ridotti a luoghi comuni,a parodie di sè stessi.
Come facciamo a restare seri mentre raccontiamo che la battona del luogo si è fatta un cliente per permettere alla nonna di comprare ai suoi figli un barattolo di crema da spalmare?
Tutte stronzate malinconiche su una Northampton che non c'è più,fesserie piene di prostitute dal cuore d'oro e di frasi tipo
Ma nonostante questo,una ragazza di cui non conosco neanche il nome si è portata un estraeno nel cortile per rendere felici i figli della sua vicina, e per quale motivo il nostro linguaggio non riesce più a contenere una cosa del genere?

(Estratto da "La voce del Fuoco", Alan Moore 1996)

La Voce del Fuoco è una specie di verità che contiene immaginazione e storia e magia, motivo per cui se ne possono trarre solo spiegazioni parziali e insoddisfacenti, solo storie inspiegabili e incomplete, come come le storie della nostra vita.

E' un piacere leggere e rileggere questo libro. Cominciate dove vi pare: l'inizio e la fine sono perfetti, ma un cerchio comincia da qualunque punto, proprio come un rogo.


Non fidatevi di questa città o di questi racconti, e neanche del loro narratore. Ascoltate solo la Voce del Fuoco


(Neil Gaiman - Dall'introduzione del libro)

Slint@CircoloDegliArtisti.

Giu 5 2007, 2:24

(Foto di GiampaoloM )

Mar 29 Mag – Slint performing Spiderland Slint

Come me molti altri aspettavano questo giorno con impazienza. Probabilmente dallo stesso momento che hanno conosciuto gli Slint dalla prima volta.
Dal momento che hanno ascoltato Spiderland per la prima volta.

Si è detto tantissimo sul lavoro di questo gruppo. Di come, volente o nolente, abbia influenzato la crescita di due generi che hanno infuocato in questi ultimi anni: il e il . Quei quattro ragazzi immersi nell'acqua hanno preso per la coda quel qualcosa di trasversale che suonava nella musica attorno a loro e l'hanno messo su Spiderland, il disco che ci faranno ascoltare oggi, al Circolo degli Artisti di Roma, dopo più di quindici anni dalla sua uscita.

L'entrata del Circolo è riempita quasi completamente dal bus del gruppo, e passiamo di lato per fare i biglietti e per entrare. Non c'è ancora molta gente ed una volta in sala è facile trovarsi sotto il palco a fare due chiacchiere e prendersi una birra con gli innumerevoli amici intervenuti come noi.
Sul palco è tutto già montato e, a parte gli strumenti e l'amplificazione, ci sono solamente alcune luci da teatro, posizionate a terra e rivolte verso l'alto. Dopo poco sale Alexander Tucker. Si presenta e ci saluta con un sorriso più caldo di quello che ti aspetteresti da un inglese. Si siede sullo sgabello ed imbraccia un piccolo strumento elettrico a corde che suona con un archetto.

Dopo poco il suono dello strumento viene ripetuto da un delay digitale, mentre il musicista suona un altro fraseggio, ripetuto assieme a quello precedente, prima di prendere la chitarra ed avvicinarsi al microfono. E' così che questo inglese crea il tappeto sonoro sopra cui costruirà i suoi pezzi. L'effetto finale ha quella stessa capacità di straniare l'ascoltatore di, non a caso, Everyone Alive Wants Answers di Colleen. A differenza della francese però, con l'uso di un cantato sentito e ispirato, Alexander riesce ad aggiungere al tutto un'emozionalità più umana. In alcuni momenti il coro creato dalla sua stessa voce è veramente coinvolgente.

Il palco viene smontato delle pochissime cose del musicista che ha appena suonato e vengono sistemati i piccoli dettagli, e si provano brevemente per una ultima volta i suoni. Dopo un po' salgono silenziosi sul palco gli Slint. Un sorriso fatto unicamente con lo sguardo in direzione del pubblico e poi vanno nelle rispettive posizioni. Si guardano per un attimo. Si spegne la luce.

Dal nulla viene battuto il quattro, una delle luci si accende in direzione di una delle chitarre e partono i tre inconfondibili armonici tra l'ovazione del pubblico. Dalla parte opposta, defilato quasi dietro una cassa, la voce di Brian McHanan inizia"I stepped out onto the midway. I was looking for the pirate ship and saw this small, old tent at one end."

E' PlayBreadcrumb Trail, quelli che abbiamo davanti sono gli Slint e questo è l'inizio di Spiderland.

Loro sono lì, dopo questa lunga pausa di anni. Li guardiamo per un attimo prima dell'inizio del prossimo brano, PlayNosferatu Man, ed è strano vederli e rendersi conto che sembrano come quegli ologrammi che hanno due immagini che cambiano spostando lo sguardo. Vedi il loro viso non più da ventenne segnato sensibilmente dal tempo, ma al tempo stesso traspaiono quei ragazzi, con la loro inconfondibile inquietudine di tanti anni fa. Suonano ascoltandosi, scambiandosi gli sguardi, concentrati ad ogni attacco che eseguono sempre alla perfezione. La loro non è mancanza di sicurezza, o ruggine con gli strumenti. In questo luogo si respira quello stesso spirito che c'è in una sala prove privata, quando i pezzi vengono ripetuti per il semplice gusto di suonarli per se stessi, e lasciarsi trascinare. E noi siamo i fortunati invitati a cui è stata offerta la possibilità di essere presenti.

Britt Walford lascia la batteria andandosi a sedere sullo sgabello al centro del palco, abbracciando la Telecaster. Le due chitarre partono all'unisono sulle note di PlayDon, Aman. L'atmosfera è assoluta, così com'è assoluta la concentrazione del pubblico, ipnotizzato dalla sua voce.
Non ho mai sentito il Circolo immerso in un così rispettoso silenzio, silenzio che verrà rotto una volta partita PlayWasher, quando la folla spontaneamente non riesce a fare meno di cantare assieme a loro quel tristissimo "Goodnight my love. Remember me as you fall to sleep" che da il via ad uno dei momenti più intensi della serata e del disco. E' impressionante constatare la cura con cui ci viene riproposto quel loro suono così asciutto e crudo, e di come il live riesca al tempo stesso a rafforzare ancora di più quel contrasto tra l'aridità dei suoni e l'intensità della loro musica.

L'applauso è interminabile. Pausa. Parte il basso di PlayFor Dinner... che ci accompagnerà per tutto questo lungo pezzo strumentale.
Dal pubblico un tale urla "Buongiorno Capitano...Mi manchi capitano" e di seguito parte l'omonima canzone, PlayGood Morning, Captain, canzone di chiusura di Spiderland.

Il gruppo esce per una piccola pausa (più per sottolineare la fine dell'album che altro), per poi ritornare e suonare i due pezzi usciti nel loro Ep del 1994, PlayGlenn e PlayRhoda, due pezzi strumentali che rompono un po' con quelli precendenti per maggiore complessità e forza. Chiuderanno poi con Kings Approach un nuovo componimento del gruppo che, assieme alle risposte genitilissime alle domande che gli poniamo a fine concerto (si, hanno qualcosa che bolle in pentola ma ancora niente di preciso), fa ben sperare in una loro uscita discografica futura di qualche tipo, rimando ad allora qualsiasi ulteriore commento.

E' stata semplicemente una serata magnifica.

(anche su www.ondalternativa.it)

Terra/Italia/Lazio/Roma/IO 2007

Giu 5 2007, 0:34


Sono qui a fumare dalla finestra, con indosso i miei vecchi pantaloni fricchettoni ed una felpa fruit of the loom usata comprata tanto tempo fa. Odoro di cassetto. Un po' acre ma confortevole. Sono qui prima di rimettermi a scrivere la recensione del concerto degli Slint, che ha atteso un po' prima di nascere ed uscire fuori, ma scrivere è una dolce maledizione dopotutto.

Riiniziamo da qui...

Ho sempre amato mettere assieme, unire, cercare rapporti, tensioni, melodie e richiami nella musica che ascolto. Mi piace montare questi frammenti assieme e nel loro assecondarsi e scontrarsi forse si manifesta una parte di me.

Segno qui il mio "nastrone" (termine che una nuova bevitrice di chin8 neri mi ha insegnato) scritto per me stesso da me medesimo come pietra miliare di questo strano, tragicomico e bellissimo periodo. C'è molto di alcune delle persone a cui mi sono legato tanto. A queste persone posso dire solo grazie.

1: I'm So Green - Can
2: Just Stand Back - Low
3: Fists Up - BLOW
4: Eva Robin's meets Stefania Sandrelli - Dilatazione
5: Smells Like Content - The Books
6: Two-Headed Boy - Neutral Milk Hotel
7: Consequence - The Notwist
8: With Whom to Dance? - The Magnetic Fields
9: Free - Cat Power
10: 2:3:5 - Clogs
11: Baby's Romance - Chris Garneau
12: Our Happiest Days Slowly Began to Turn Into Dust - Red Sparowes
13: We - Meganoidi
14: Every Light - Laura
15: Green Grass of Tunnel - Mùm
16: Lay and Love - Bonnie 'Prince' Billy
17: Cello song (nick drake cover) (registrata al concerto dei Books dal sottoscritto)


The Books@Teatro Palladium

Mag 20 2007, 14:34

(Foto di Stella Ziggiotti)

Mer 16 Mag – The Books
Con il concerto di mercoledì scorso al teatro Palladium di Roma, siamo giunti al secondo incontro dell'anteprima di Dissonanze, il festival di musica e arti elettroniche che l'1 e il 2 giugno si terrà al palazzo dei congressi di Roma. Seguendo l'esibizione di Karlheinz Stockhausen che si è tenuta all'Auditorium, questo dei The Books è stata un'occasione per presentare un altro punto di vista sullo sfaccettato mondo della sperimentazione elettronica. Infatti, laddove il Maestro ci ha mostrato la dirompenza espressiva della sua musica, che da tradizione dei più grandi artisti e compositori tedeschi rappresenta e manifesta la magnificenza della libertà e della volontà creativa del pensiero umano, lo spettacolo dei The Books ha completamente un'altra dimensione, più piccola e intima.

Il mondo acustico-elettronico di questo duo così particolare, (Nick Zammutto è un restauratore e sperimentatore visivo mentre Paul do Jong è un musicista-insegnante) si sviluppa ponendo come soggetto principale la preservazione della memoria e la sua rappresentazione tramite il linguaggio, utilizzando come mezzo principale l'uso di elementi minuscoli, quasi insignificanti, piccoli frammenti audiovisivi collezionati in anni e anni di ricerca nella loro preziosa biblioteca, quel luogo fisico e ideale in cui questo progetto (non a caso, i libri) si colloca.

Proprio da un tipo particolare di frammento inizia il concerto. Poco dopo il loro ingresso sul palco infatti apriranno con All A’s’, un pezzo scritto recentemente da Zammutto in occasione della nascita del suo primogenito. Mentre intonano con i loro strumenti questo primo brano, contemporaneamente alle loro spalle vengono proiettate, su uno schermo, delle lettere dell'alfabeto in sequenza che diventano delle immagini pulsanti, mutevoli, cangianti e che seguono la strana danza suonata dai due musicisti e da quella sorta di conto alla rovescia casuale che una voce fuoricampo inizia a scandire. Con questo brano i The Books presentano a tutti gli effetti la loro dichiarazione di intenti. Le lettere che ci vengono mostrate, nelle loro mille mutazioni, sono gli elementi fondanti del nostro linguaggio (e quindi della memoria), e sono elementi che nelle loro pressocchè infinite ricombinazioni possono assumere sempre nuovi significati e forme, così come le schegge che compongono i loro brani.

Con i pezzi seguenti (If Not Now, Then Never e Don’t Even Sing About It) i due artisti innescheranno il loro personale modo di sviluppare questa tematica. In video si inseguiranno di volta in volta alcune delle sequenze recuperate da Nick, alternando piccole scene di vita familiare, vecchie pubblicità, documentari sportivi e immagini caledoscopiche. Alcune volte queste immagini confluiscono nel vivo andando ad insinuarsi anche nella musica di sottofondo, così come fanno gli stessi musicisti, scandendo con la loro musica e con le loro voci, tra parlato e cantato, il susseguirsi delle sequenze video ed ancora andando a loro volta ad infilarsi in quel tessuto comunicativo che hanno messo in piedi. E' questo continuo infrangersi tra le varie parti che rende così particolare l'esibizione dei The Books. E' un incessante richiamare, dialogare, inseguirsi e giocare con divertita ironia tra schermo chitarra e violoncello elettrico, tra la presenza fisica di Nick e Paul e le memorie, tra il video e il fuoricampo, tra gli strumenti suonati e quelli registrati, tra i sorrisi vivi e le smorfie riprodotte, creando davanti a noi un qualcosa che in continuazione cerchiamo di capire e decifrare nella sua interezza. E' come se fossimo stati messi di fronte ad una sorta di videoinstallazione multimediale nella quale l'esibizione dei due artisti non diviene più elemento principale di spicco e di attenzione, ma una concausa nella costruzione di un risultato che non è più della sola intenzione creativa di uno o più individuo, ma sintesi tra di essi ed il materiale della loro ricerca e rilettura.

Forse questo loro mettersi da parte, quasi per non scavalcare gli altri elementi (in un momento successivo addirittura Paul e Nick lasciano il palco mentre parte video e musica di Tokyo), ha addirittura in qualche modo causato un po' di perplessità nel pubblico del concerto, abituato invece nella predominanza della figura e del carisma dell'artista-musicista sul palco. Ciononostante in alcuni momenti, come la successiva personalissima cover di Cello Song di Nick Drake, l'attenzione e l'immersione del pubblico era comunque totale, nel seguire la voce di Nick Zammutto che intonava le prime note come un sussurro fino al crescendo, o nel farsi prendere dalla trasformazione dei duri colori della scala cromatica del Technicolor trasformarsi, lungo il procedere della canzone, in dolci colori a pastello.

(Continua su www.ondalternativa.it)

The Blows - Paper Television # Review

Mag 14 2007, 16:59


Paper Television
Tanto per incominciare dico subito che questo disco delle The Blow che ho tra le mani è davvero un gioiellino di disco.
Fresco, allegro, divertente. Non è un capolavoro. Ma è uno di quei dischi che secondo me ci ricapiterà spesso la voglia irresistibile di fargli fare, ogni tanto, un bel giro nel lettore ed immergersi in quell'aria così particolare che porta con se.

Sarà per le atmosfere casalinghe, da pomeriggio (guarda caso) di aprile passato a casa, ancora in dormiveglia alla ricerca di un po' caffè per il risveglio fuori programma. Sarà per l'uso dei suoni, molto giocattolosi ma anche austeri, quasi da cabinato di un vecchio videogame. Sarà il rifarsi un po' agli anni '80, senza però quello sbrodolarsi addosso tipico e risultando a confronto, nel complesso, piuttosto scarno e asciutto. Sarà la scelta di non effettare quasi per niente la voce, che risulta calda, sincera e divertita, come quella di un'amica che ci sorprende ad aver messo la moka senza acqua sul fuoco, appena in tempo per non bruciare tutto e coccolarci mentre, storditi, ci sbrachiamo sul divano mentre lei ci sostituisce tempestivamente ai fornelli.

Non è un caso che è proprio una ragazza che salva il mio verosimile alterego da una brutta situazione (non so voi, ma la caffettiera rovente quando si ha bisogno di un caffè è quanto di più pericoloso esista per mani affrettate come le mie), dato che in questo disco c'è molto di quella incoscienza femminile che divertite e contagia, e che le due Blow sono riuscite a trasmettere nella loro musica. In queste dieci tracce dal vago gusto glitch-pop si respire un senso di libertà piacevolissimo. Khaela Maricich e Jona Bechtolt giocano con noi in maniera divertente ed esperta con i loro strumenti (drum machine, groove box più tutta una serie di oggettini, o semplicemente con la voce) senza mai prendersi troppo sul serio e fuggendo da qualsiasi ostentazione ed esagerazione.

(continua su www.ondalternativa.it)

Tanti auguri a me

Mag 9 2007, 19:26

Tra meno di 4 ore farò 28 anni, e visto che l'ho pure conosciuto ieri sera, mi dedico una canzone di Babalot.

Festa N.3

questa situazione non può essere romantica
fine basta chiuso tornerò quando dimentico
scrivi taglia cuci che monnezza di trapianto
so come scappare non mi vedi quando piango?

sono tubi di ferro a vista
come chiodi nella minestra
sono un cesso di chitarrista

e questa è la mia cazzo di festa.

non riesco a vendere le bibbie per la strada
non riesco a bere dalle foglie la rugiada
serve un modo serve adesso per sanare la partita
fuori gli arbitri il pallone, via dalla mia vita!

sono tubi di ferro a vista
come chiodi nella minestra
sono un cesso di pianista

e questa è la mia cazzo di festa.



Tanti auguri a me.

Red Sparowes - Doomraiser - tomydeepestego@CircoloDegliArtisti

Mag 7 2007, 22:54


Dom 6 Mag – Red Sparowes, Doomraiser, tomydeepestego
La serata di ieri, organizzata dal Circolo degli artisti in collaborazione con Sinister Noise, è stata, diciamolo subito, una gran bella serata.

Intanto c'è da dire che per quanto sul sito del Circolo l'orario di inizio sia cambiato mille volte, almeno gli organizzatori sono riusciti a farsi perdonare alla stragrande con i "mattinieri" accorsi offrendo, come accompagnamento ad un drink, un ottimo e abbondante antipasto. Ho l'impressione che non sarà l'ultima volta che ne approfitterò.
Seduti, mentre sorseggiamo la nostra birra e mangiamo del riso indiano molto speziato, riusciamo anche a sentire parte del soundcheck dei Red Sparowes, rubando con le orecchie le note di Alone And Unaware... portata avanti solo dalle tre chitarre.

Il tempo scorre per un po'. Si bissa con la birra, si beccano amici vecchi e nuovi fino a quando da dentro non si sente il suono degli strumenti che iniziano. Entriamo ed ad attenderci troviamo i tomydeepestego, un altro degli interessantissimi progetti paralleli che ruotano attorno agli Inferno e ai Phoenix, gruppi che nell'ultimo periodo stanno attirando molto la mia attenzione data la qualità delle loro produzioni. I Tomydeepestego ci presentano la loro musica, sviluppando per noi tre pezzi molto belli e intensi. Il suono è tagliente e compatto ma in mano loro è talmente malleabile da riuscire a creare momenti dalla forte intimità, durante le aperture più melodiche ed emozionali. I loro crescendo poi (come quello di Mediterraneo) sono qualcosa che riesce a prenderti allo stomaco. Bravi e a presto.

Dopo averci salutati e datoci appuntamento ad ottobre, quando uscirà il loro disco, i Tomydeepestego lasciano il palco ai Doomraiser, per quello che sarà un momento di allontanamento rispetto alle sonorità più dilatate che li hanno preceduti e li seguiranno.
Già il loro salire sul palco è una sorta di salto nel passato. Si dispongono di fronte al pubblico in una sorta di posa da facciata del Pordenone di un ipotetica Atene metal, sfoggiando il loro look da biker (di cui il bassista era il più rappresentativo) e le loro spigolose B.C. Rich.
Il loro non è un concerto che piacerà a tutti, per quanto riuscirà a scaldare il cuore nostalgici di parecchie persone in sala. Il loro stooner/doom per quanto retrò risulta comunque piacevole nel suo essere granitico (come il batterista) e pesante (come i powerchord suonati a gambe divaricate) al punto giusto senza andare troppo a discapito della dirompenza. Per le persone a cui questo show si rivolgeva penso sia stato davvero coinvolgente.

Viene smontato tutto molto velocemente, ed entro poco il logo dei due passeri rossi viene proiettato sullo sfondo del palco. I musicisti salgono silenziosi recandosi nelle loro rispettive posizioni, sfiorano gli strumenti appena ed entro poco partono le note rarefatte di chitarra che introdurranno l'esplosione iniziale del primo pezzo in scaletta, Buildings Began To Stretch Wide Across The Sky, And The Air Filled With A Reddish Glow. I musicisti sono lì concentrati. I tocchi precisi della batteria e gli incroci delle tre chitarre iniziano a farsi sempre più chiari e riconoscibili e le tessiture sonore iniziano a mostrarsi, semplici ma intricate nel fluire lungo tutte le atmosfere del pezzo. A Message Of Avarice Rained Down Upon Us... e Like The Howling Glory Of The Darkest Winds... verranno suonate, di seguito alla prima, come fossero una unica lunghissima parte strumentale. In questa prima parte i Red Sparowes riescono ad introdurre con eleganza il loro suono, abituando il pubblico alle loro atmosfere rarefatte e alla struttura sempre in divenire dei loro pezzi, tramite forse le partiture più calde del loro repertorio. E ci riescono maledettamente bene.

(continua su: www.ondalternativa.it)

MartaSuiTubi@CircoloDegliArtisti

Mag 1 2007, 6:10



Lun 30 Apr – Marta sui TubiMarta sui Tubi
Devo essere sincero. Il concerto di gennaio dei marta non mi era per niente piaciuto. E' stato il mio secondo loro, ed il paragone col primo è stato mortificante.
Sarà stato il loro presentarsi sul palco tutti con la matita sugli occhi (si ok era una provocazione? non lo era? cmq erano ridicoli) mi è sembrato piuttosto banale. Sarà che loro erano oggettivamente molto stanchi o malati (l'impressione era quella), poco ispirati, non particolarmente coinvolgenti. La paura che non avessero più un cazzo da dirmi fortunatamente era stata in parte smentita dall'inedito molto bello. E questo gli ha meritato i 5 euro miei e dei miei amici di stasera.

Fortunatamente sono stato piacevolmente smentito.
Il concerto di stasera è stato davvero un ottimo concerto. Da tanti punti di vista.
In primis i pezzi, tutti, hanno guadagnato tantissimo dall'esperienza live. La voce molto più sicura sia sulle parti diciamo "normali" (ovvero le stesse linee dei dischi) sia soprattutto sulle miliardi di varianti aggiunte che finalmente da semplice curiosità (alcune volte anche fastidiosa) sono diventate un valore aggiunto. Soprattutto alla luce che in più di un'occasione (come in L'amaro amore) sembrava di avere davanti una sorta di Mike Patton nostrano per l'idee e le capacità di realizzarle senza incertezze.

La batteria ora è molto più presente. Le tessiture ritmiche pulite e precise. Non più quindi un aggiunta al duo iniziale ma elemento che risulta fondamentale per il loro suono. L'impressione che ho avuto è che il tutto sia diventato molto più sperimentale con il suonare live.

Il muro sonoro creato poi dalla chitarra era impressionante. Il fatto che Carmelo sia un chitarrista eccezionale era assodato, ma stasera ha dato il meglio di se alternando ritmica e melodia, rumore e precisione in maniera perfetta. C'è poco altro da aggiungere.

La scaletta è stata buona, ulteriore evuluzione di questo lunghissimo tour che ormai dura da più di un anno. Apertura tosta come al solito con Perchè Non Pesi Niente e Cenere per far entrare loro ed il pubblico rapidamente nel concerto.
Un pezzo nuovo davvero interessante a fare coppia con l'altro presentato l'altra volta, fa ben sperare per il loro possibile futuro album. Una cover di PlayWhere Is My Mind? in perfetto bilico tra rispetto dell'originale e apporto personale.
Il tutto per circa un'oretta dopo la quale, uscita di rito, e poi bis con una notevole versione di L'equilibrista. Se non fosse per la solita , banalissima e scontata Post in chiusura sarebbe stato un concerto memorabile.

Menomale che almeno la matita se la sò risparmiata stavolta.




ps.
Sfrutto questo spazio per esprimere il fastidio che provo per vedere questa canzone (post) tanto amata e sopravvalutata da troppa troppa gente.

Primo. Strutturalmente e musicalmente è il peggior pezzo composto dal gruppo. Di una ripetitività sconcertante. Ok facciamo il pezzo noise, ma non tutto uguale. Cazzo è il modo più banale che esiste per rendere l'ossessività in musica. "Ripetete la stessa cosa fino alla nausea".
Su che palle. Ok ha una atmosfera fumosa, ma davvero solo quello. Paragonatelo con l'altro pezzo simile per atteggiamento (l'amaro amore) e di post non resterà nulla...

...A no c'è il testo...che culo.

"Io non ho sentimenti SOLO sensazioni" che ipocrisia.
Quel "solo" che rende tutto il senso della canzone "solo" un pezzo di uno che sta rosicando da una parte e si lecca le ferite facendo finta di essere quello figo insensibile e/o istintivo che piscia sopra a quello in cui inrealtà sta ancora dentro fino al collo. Ma cazzo. Ok che lo fa un sacco di gente, ma è una di quelle cose che mortificano l'essere umano. Mi turba davver il bisogno della gente di sentirsi dire cose del genere da una canzone. Ecco da sto punto di vista mi ha dato lo stesso fastidio provato per "tutti giù per terra". Walter Verra in quel film non è un antieroe, è solo un coglione dall'inizio alla fine del film.
Idem l'essere umano che esce fuori da "post".

Si perchè poi una persona di questo tipo (VERAMENTE insensibile o VERAMENTE istintiva o entrambe) non direbbe mai "solo sensazioni", perchè lui/lei non paragonerebbe mai due cose che sono separate (la distinzione dei due è alla base del testo, in teoria). Dire "solo" in questo contesto vuol dire "non ammetto che quello che provo sono sentimenti (e quindi legami) e quindi li declasso, tiè così impari brutta stronza/o".

Su dai ammettiamolo, post è una canzone da pipparoli.

Perturbazione - Carpacho - Babalot@CircoloDegliArtisti

Apr 29 2007, 4:24


Sab 28 Apr – Perturbazione, Carpacho

Arghhhh avevo scritto tutta la recensione del concerto e sto stronzo di browser m'ha sputtanato tutto, quindi eccovi la versione sintetica:

Di nascosto, tipo happening, sale sul palco Babalot davanti, forse 20 persone. Suona 5 minuti. Voce, chitarra elettrica e batteria (niente elettronica). Istintivo, nervoso, impulsivo. Una scheggia di concerto come sfogo necessario. Poche parole. Un mito.

Dopo che si riempie un po salgono i Carpacho. Simpatici ma niente di che. Un gruppo indiepop con le basi stile strumenti giocattoli suonate (bene, concediamoglielo) sopra. Niente a che vedere con gli Amari però. Peccato per i crash del portatile. Peccato per le sonorità certe volte troppo new wave/ruffiane. E peccato per il look finto-spettinato.

I Perturbazione. Salgono sul palco, il cantante dice 2 parole con quel sorriso pieno di gioia stampato sul viso che te li fa adorare da subito. Riescono ad essere semplici e profondi (gli unici in italia che ci riescono BENE, a mio avviso). Suonano tanti pezzi del nuovo album, senza disdegnare pezzi storici come Agosto e altri del penultimo album. A metà concerto sale sul palco addirittura Syria duettando in paio di pezzi. Una nana con una gran bella voce, c'è poco da dire.
Chiudono il concerto dopo un paio di bis, con Mi piacerebbe. Dei Grandi.

Poca musica ma

Apr 23 2007, 0:47

In questo post ci sarà poca musica ma...

Ma c'è l'alcohol della serata appena passata...
Ci sono i sorrisi che ti fanno ancora sentire che sei vivo...
Ci sono i pensieri che non ti lasciano andare... le cose da fare, e gli obiettivi (senza la seconda b) che ancora devi raggiungere...
C'è la salsiccia ancora da digerire
C'è l'odore che ancora non scivola dentro me...
C'è l'incantevole che una volta c'era è che ora non sai dove cercare...
C'è la felice incoscienza dell'architettura di helsinki...
C'è il tarlo nel cervello che sta ancora mangiandoti vivo...
E c'è la pizza che ha impastato è che non abbastanza hai mangiato...
Chissà dove mi porterà la strada... l'acohol alla fine ti porta sempre a casa...

PlayNeed to Shout

Nohaybandatrio@Locanda Atlantide

Apr 20 2007, 3:12

Nohaybandatrio@LocandaAltantide

Era la prima volta che entravo nella Locanda e devo ammettere che questo posto ha un suo certo stile, che nella sala da concerti ricorda un vecchio teatro, con le seggiole di legno e materiale scenico buttato da una parte a lato del palco, mentre la zona vicino al bancone ha l'aspetto di un magazzino di scena improvvisato in un fienile, con il suo salotto messo all'interno di un ambiente rurale. Il tutto è davvero Felliniano. Aggiungiamoci che è anche uno dei pochi locali di s.lorenzo dove ancora puoi trovare una harp strong e gli elementi ci sono tutti per starmi da subito simpatico.

Dopo aver lasciato i nostri 5 euro all'ingresso, esserci fermati un attimo a prendere l'harp di cui sopra e seduti a vedere gli ultimi cortometraggi della rassegna che precedeva il concerto, salgono sul palco i Nohaybandatrio che iniziano con un pezzo strumentale musicando l'ultima fase di un cortometraggio proiettato sul palco. Da subito posso notare il setup del tutto particolare che hanno questi tre musicisti, ognuno "duplice" in qualcosa.

Marcello Allulli, il sassofonista, si presenta sulla sinistra del palco con il suo sax tenore. Ai suoi piedi tutta una serie di pedali che userà durante il concerto per armonizzare ed ampliare il suono del suo strumento e controllare le basi che il gruppo usa per completare il proprio suono.

Dalla parte opposta del palco invece c'è Fabio Recchia (che è anche il tastierista degli Inferno), colui che verrà presentato come la mente del gruppo. Ha davanti a se, su una coppia di reggitastiere, una chitarra e un basso messi in orizzontale e che suonerà in questa posizione con una istintività e precisione impressionanti. In qualche modo rappresenta il più appariscente elemento distintivo del gruppo.

Infine, al centro del palco Manuele Tomasi (Micecars), il mostro che stava dietro la batteria e le percussioni.

Al loro fianco un quarto individuo che si occuperà di accompagnare il tutto attraverso le videoproiezioni sullo sfondo.

Da qui in poi ci presenteranno per un'ora e mezza il loro sound, che ha il pregio di essere molto armonioso ma allo stesso tempo molto stratificato ritmicamente. I pezzi si sviluppano attorno alle 6 e 4 corde suonate contemporaneamente da Fabio e dalla ritmica serrata della batteria, e impreziositi dalle brillanti entrate del Sax tenore di Marcello. Il genere spazia tra il funky e il jazz, ma sotto c'è quell'irrequietezza tipica dell'hardcore, che condividono con altre band Romane come gli Zu ed i Thrangh, e che dona al gruppo una energia ed una compattezza che di primo acchitto non ti aspetteresti.

Globalmente è stato davvero un buon concerto e la location (molto ben frequentata, se capite cosa intendo) assieme alle videoproiezioni sono state la ciliegina sulla torta.

ps. potete ascoltare loro pezzi su http://www.myspace.com/nohaybandatrio
Nohaybandatrio

Amon Tobin @ Brancaleone

Apr 17 2007, 11:49


Amon Tobin Amon Tobin @ Branca
Beh ieri era una di quelle serate che sarebbero potute andare in mille modi diversi. Intanto l'amico con cui inizialmente dovevo andare ha optato per un'altra soluzione di serata. Isi. La mia determinazione di vedermi un ottimo set di elettronica dopo anni (praticamente dalla mia permanenza londinese) non ha però vacillato neanche davanti questo cambiamento di programma e ormai l'idea di partire e andare da solo non mi spaventava più.

Fatto sta che sono stato premiato dalla sorte e appena partito mi arriva la chiamata di Ale, quello che poi sarebbe diventato il mio compagno e istigatore di mojito della serata, nonchè guru musicale di primordine. Ok, torno indietro, lo recupero e partiamo provando il mio nDS che si è trasformato, per l'occasione, in lettore mp3. La prova con 20 minuti di PlayI la supera egregiamente. Grazie M3Simply.

Arrivati al Branca abbiamo aspettato una mezz'oretta fuori prima che di farci entrare, e altrettanto prima che abbiano aperto la sala (dove stava l'unico bar aperto della serata). Là stava iniziando Raffaele Costantino. Questo uomo ne sà a pacchi di quello che fa. Parte, fa ambientare il pubblico e li cuoce ben bene per un bel po' (quant'è il tempo di due Mojito?) fino a che, in delirio, ci lascia a Tobin.

La gente si avvicina, si accalca, balla... E' praticamente impossibile non sfiorarsi la pelle, non respirare l'odore dei capelli lunghi che ci circondavano e non cadere in quello stato di semincoscienza prolungata creata dagli intrecci ritmici e dalle basse frequenze che provenivano dal palco. Una musica da ballare di questa qualità è la prima volta che riesco a sentirla in Italia e probabilmente anche durante la mia permanenza londinese, ma non sono stato troppo attivo in tal senso all'epoca. La musica va avanti per ore, la concezione del tempo (mischiato a tutto il bevuto) salta completamente, ed il brasiliano ci vizia, fino a salutarci e lasciare la postazione ad Andrea Lombardo che riesce a tenere la sala attenta e coinvolta ancora per un bel po'.

Si fanno ormai le 3 di martedì e sandro tra 4 ore si deve svegliare, quindi decidiamo di tornare a casa dopo un secondo di pausa, passato a farci due chiacchiere con un amico beccato là e, una volta in macchina celebriamo il fine serata stando, per l'ennesima volta, a meravigliarci di come sia stato possibile fare, nel 1991, un disco come Spiderland. Discussione che si prolungherà fino al nostro saluto e al riprometterci grandi cose al nostro prossimo incontro.

Metereo-apatico.

Apr 15 2007, 16:24

Mah, mi sono abbastanza rotto di questa metereopaticità che sembra affliggere tutte le persone che ho intorno. Ok è normale in fondo... sta arrivando la primavera... Però in realtà questo marzo dura ormai da poco dopo l'estate, che la latitanza di un vero e proprio inverno con il quale poter prendersi poco sul serio. Si perchè in fondo quest'anno siamo stati privati del conforto di stare a casa (o al lavoro o ovunque ci siamo rinchiusi) e dare la colpa del nostro grigiore interno alla pioggia e al suo rumore. "Ok, è questo tempo di merda che mi fa stare così... forse". Ed invece no, sono mesi che l'unica finestra che vedo con nuvole e pioggia rimane il mio specchio.

Placenta

Il senso della vite, nasconde un gran mistero. Prendiamo tre minuti per veder se c’è del vero.

Apr 13 2007, 17:05

Il senso della vite
Internet è una gran cosa... tanta di quella musica ad un paio di tiri click... però... il gusto di andare da un'amica e scavare tra i sui cd e metterselo in borsa e scoprire, una volta a casa nel lettore, cosa contiene... con buona pace per fiumiciattoli ed equini da tiro...

Non era in programma, non sono in attesa, ti prego non correre, sai che mi pesa.

Apr 11 2007, 16:31

Devo ammettere che questo luogo è fantastico e alternare e completare i propri ascolti con il mondo là fuori mi sta dando grandi soddisfazioni (almeno musicalmente parlando)... continuo a naufragare assieme alla mia bottiglia...La mantide

Si parte, si parte allegre ragazze si parte

Apr 10 2007, 15:13

Beh non ho mai avuto nè un blog nè niente del genere in vita mia. Forse avrò voglia di buttare il mio msg in bottiglia nel mare della rete... beh non ci sarà banchina migliore di questa.

One By One